La cosa può sembrare strana a chi non abbia mai studiato sanscrito, o lo abbia studiato solo superficialmente, ma esiste uno specifico piacere, estetico e spirituale, derivante dalla contemplazione della grammatica sanscrita.
Mantenendo quasi del tutto la struttura di fondo della grammatica vedica, il sanscrito opera una drastica riduzione di molti dei fenomeni ambigui, apparentemente ridondanti e irregolari del vedico, dando luogo, attraverso la messa a punto della sua grammatica, ad un “ambiente linguistico” molto regolamentato (preciso e articolato sotto ogni punto di vista: fonetico, morfologico, grammatico e semantico), che però allo stesso tempo risulta molto duttile e espressivo, e quindi linguisticamente vitale (in un certo senso, immortale).
Una volta appresa a memoria, la grammatica sanscrita, nel suo equilibrio e nella sua completezza, assume i connotati di una opera d’arte, e contemplarla, nel suo complesso o nei dettagli, apporta un tipo di gioia e pace interiore non dissimile da quello derivante appunto dalla contemplazione di una grandiosa opera d’arte: nella grammatica del sanscrito infatti si riconosce quella capacità dell’uomo di creare un qualcosa che appare dotato di vita propria, e che per questo nei secoli può diventare molto altro e molto di più di quel che era destinato a essere, che è poi quel che, in effetti, è accaduto al sanscrito.
La grandezza in particolare della grammatica sanscrita, è quella di trovare un difficilissimo compromesso fra il mantenimento della complessità, della vitalità e della forza evocativa della lingua vedica (il corpus vedico è il più antico a noi giunto in una lingua indoeuropea), e la necessità di possedere una griglia grammaticale sottile, unitaria e razionale per descrivere, comprendere e preservare la stessa lingua vedica e i suoi preziosi testi.
Il successo di tale operazione, che ne dimostra la grandezza, fu tale da dotare la civiltà indiana antica di una lingua, il sanscrito, capace non solo di mantenere un rapporto diretto cogli antichi testi vedici e la loro conoscenza, ma capace anche di funzionare molto bene per codificare con chiarezza tutto il sapere ufficiale e per comporre stupefacenti opere letterarie.
Fu con tale funzione di lingua culturale che il sanscrito si diffuse capillarmente nel subcontinente indiano, seguendo una parabola che lo portò, nel giro di qualche secolo, da lingua di utilizzo esclusivo di ambienti sacerdotali, a lingua scientifica e poetica per eccellenza adottata da tutte le corti: è importante a questo proposito, per cogliere l’importanza storica di questa lingua, ricordare che fu il sanscrito (e non un potere militare, come avvenne in Europa con l’Impero Romano) che unì culturalmente il subcontinente indiano, una realtà altrimenti molto frammentata e comunque molto vasta e variegata.
E’ contemplando il genio grammaticale espresso nella grammatica sanscrita e che sta alla base del successo e della forza di questa lingua, che si prova un vero e proprio rapimento del tutto affine a quello provato di fronte alle opere d’arte: un misto di meraviglia, sottile sconcerto, appagamento estetico, profondo rispetto, gratitudine e gioia.
La grammatica sanscrita come opera d’arte
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