E’ evidente che esista una relazione profonda fra il rAmAyaNa (rAma.) e il mahAbhArata (mahA.) nel senso che il primo è stato scritto avendo ben presente l'”opera” che il secondo è, e in più di un modo ad esso risponde.
Ne sono esempi evidenti il culto di rAma-viSNu nel rAmA. e quello di kRSNa-ziva nel mahA.,
l’accezione della coppia satya/dharma nel primo rispetto alla molteplicità di dharma in contrasto fra loro nel secondo, la centralità dell’eroe nel primo, rAma, rispetto alla molteplicità degli eroi nel secondo, mentre la molteplicità degli scontri armati, le infinite battaglie, con armi sempre più devastanti è invece un chiaro segno di emulazione del rAma. sul modello del mahA.
Un altro profondo parallelismo fra le due opere, connesso con questo aspetto di carneficina di entrambe (fiumi e fiumi di sangue), è costituito dal rapporto con la morte.
Se certamente il mahA. è un testo sulla morte, dove tutti gli eroi muoione e il senso ultimo dell’opera è che ciò avvenga, il rAma. si pone come testo che celebra la vita: rAma, suo fratello lakSmaNa e tutti “i buoni” restano vivi, e non solo, risuscitano addirittura tutti gli eroi (perlopiù scimmie e orsi) che sono caduti durante la guerra contro il demone rAvaNa.
Ma in tutte e due le opere la morte non è vana: tutti i morti in battaglia troveranno posto in paradiso, poiché il destino dell’uomo è morire, e tanto più lo è per un guerriero, uno kSatriya, come la maggior parte degli eroi di entrambe le opere è. L’importante è non tirarsi indietro, fronteggiare, combattendo strenuamente, la morte. Ed è quello che ogni eroe fa, e delle sue gesta è rimasta traccia indelebile nelle innumerevoli pagine, centinaia e centinaia, che riportano le centinaia di battaglie e duelli che sono avvenuti nelle due “guerre mondiali”, fra cugini nel mahA. e contro il demone rAvaNa nel rAma.
Certo è che per il lettore occientale contemporaneo non è facile apprezzare, in entrambe le opere ma incomparabilmente di più nel mahA., la sequenza pressoché infinita di combattimenti la cui dinamica è spesso ripetitiva, e che si concludono altrettanto spesso con la morte di uno dei due contendenti (o il ritiro, se l’eroe non “deve” morire). E’ evidente che esisteva un gusto per il genere combattimenti che veniva soddisfatto dalla descrizione di grandi combattimenti fra eroi, condotti con armi sempre più devastanti (tristemente presagendo, per altro, l’attuale potenziale distruttivo delle armi che possediamo).
D’altra parte, alcuni dei combattimenti memorabili, soprattutto nel mahA., sono davvero appassionanti e intriganti: non mancano colpi di scena, tradimenti, colpi bassi e tanto meno testimonianza di grande eroismo. La morte del grande bhiSma ad opera del guerriero transessuale zikhaNDin, che bhiSma nella sua rigidità si rifiuta di combattere perché nato donna, o la morte di karNa ad opera di arjuna, a tradimento mentre quello era impegnato a disincagliare la ruota del suo carro sprofondata nel terreno, aizzato da kRSNa che ricorda tutte le scorrettezze compiute dallo stesso karNa in un drammatico dialogo, costituiscono pagine davvero memorabili della letteratura, e in particolare dell’epica, mondiale (e come quelle decine di altre battaglie fra grandissimi eroi).
Io credo che un messaggio di entrambe le opere sia che ogni morte, e quindi ogni vita, serve e deve avvenire per come sta avvenendo, a patto che chi la vive si assuma le proprie responsabilità, nel bene e nel male, e viva a fondo il proprio “personaggio”: non è la saggezza, e tanto meno la comprensione, che manca ai “cattivi” (in particolare duryodhana e rAvaNa), anzi la loro grandezza è proprio non esitare mai nella via del “male” e trarne tutte le conseguenze fra cui la morte e la sconfitta (nel caso di duryodhana eventualmente anche il suicidio per ignominia, cui lui è tentato fortemente in più di un’occasione).
Entrambi gli eroi negativi avrebbero la possibilità di arrendersi e chiedere la pace, ma non lo fanno perché sarebbe umiliante: meglio morire combattendo.
Rinasceranno in paradiso.