Tradurre il Saudarananda di Aśvaghoṣa, o “La Storia di Nanda” (uscito in questi giorni edito da Marietti Nanda), non è stato affatto facile e mi ha preso moltissimo tempo. Pur non essendo scritto in un sanscrito particolarmente complicato e pur avendo una trama semplice e perfettamente delineata, il testo è non di rado di diffile interpretazione
perché l’autore procede, verso dopo verso, proponendo immagini spesso complesse (perlopiù ogni verso propone una nuova immagine), a cui affida il compito di esprimere il senso profondo di quello che sta dicendo. Se la maggior parte delle volte le immaginni sono chiare, c’è però un consistente numero di versi che necessitano di un vero e proprio intuito (che può sempre fallire, portando su una strada sbagliata) per ottenere la visione dell’immagine che l’autore, il famoso monaco-santo buddista Aśvaghoṣa, del I d.C., aveva in mente.
Devo dire però che quando sono riuscito ad avere questi intuiti, che in più di un caso mi hanno portato a traduzioni anche molto lontane da quelle già pubblicate, mi sono sentito ripagato abbondantemente della fatica fatta. E’ stato impegnativo infatti arrivare ad una traduzione attenta di ogni singolo verso (in tutto il poema è fatto di poco più di 1000 versi), e quando ho creduto di saper “vedere”, in uno di questi versi, un’immagine che era sfuggita ai precedenti traduttori, è stato per me come rendere giustizia, capendolo, al genio poetico che duemila anni fa animò il poeta.
La mia speranza è che in molti leggano questa bella e sorprendente storia, e se sarò riuscito a riprodurre, nella mia traduzione, anche solo una minima parte del genio letterario di Aśvaghoṣa, lo considererò un grande successo.
E’ uscita la mia traduzione!
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