Quando insegno sanscrito ai miei allievi, non do nulla per scontato: raccomando loro di crearsi uno spazio, fisico e mentale, adatto allo studio, di munirsi di fogli e di che scrivere, di restare il più possibile concentrati quando studiano, cercando di evitare interruzioni e distrazioni, di fare gli esercizi che assegno nel modo giusto (cioè dopo aver studiato le dispense e svolgendoli “a dispense chiuse”), di cogliere con entusiasmo i progressi, di condividere, per stemperarle e affrontarle, le frustrazioni che si incontrano lungo il percorso.
Insegno sanscrito da più di 15 anni, seguendo un metodo ispirato a quello con cui mi è stato a mia volta insegnato il sanscrito da un grande maestro, il Pandit Vagish Shastri (autorità riconosciuta a livello mondiale), che ho avuto la fortuna di avere come guru in un corso individuale di 6 mesi, due sedute giornaliere, mattina e sera, nel lontano 1991 a Varanasi, India (sono tornato da lui dopo vent’anni, nel 2011, e ho fatto un interessante corso di metrica sanscrita).
La grammatica sanscrita per me è narrazione: i suoni sono come personaggi, le logiche grammaticali sono tendenze, le regole sono il background di ogni fenomeno, la morfologia sono situazioni in cui gli elementi minimi delle parole si possono trovare.
Quando affronto gli ambiti principali della grammatica — la fonetica, la morfologia, la grammatica, la sintassi, il lessico — li metto in relazione con le dimensioni fondamentali dell’atto linguistico per come lo compiamo, in italiano e in qualunque lingua indoeuropea: lo studio del sanscrito può e deve essere la porta d’accesso a una dimensione più profonda della lingua, più precisa e più cosciente di sé.
Immetto da subito, partendo dai suoni dell’alfabeto, l’allievo nel “vero” sanscrito, costruendo a piccoli passi quella dimensione linguistica di precisione che è la cifra stessa del sanscrito, senza la quale è impossibile imparare davvero la grammatica sanscrita, precisione linguistica che è allo stesso tempo metodo e obiettivo cui si giunge attraverso lo studio del sanscrito.
Lo studio del sanscrito, proprio grazie alla precisione linguistica cui costringe, porta ad innalzare la qualità del rapporto con la lingua in generale, cioè del proprio rapporto con le parole, con la sintassi, con gli stili espressivi, di qualunque lingua già si conosca: in questo senso, lo studio del sanscrito giova anche alle altre lingue che si conoscono e che si studiano.
Un più profondo e accurato rapporto con le parole, cui il sanscrito in un certo senso costringe, porta a un più profondo rapporto coi pensieri, e quindi a un più profondo rapporto con la coscienza e con la conoscenza.
Un più profondo e ricco rapporto con i pensieri, le parole e la coscienza, mette in evidenza con più nettezza, proprio perché sfuggono alle parole, gli ambiti che prescindono dalle parole e dai pensieri, profondità e dimensioni che le parole possono solo indicare, ma che di fatto sono i veri motori della vita.